Catalizzatore di polemiche come neanche una dichiarazione di
Giovanardi, questo cult di Friedkin va ormai giudicato con occhio
sereno e sgombro da pregiudizi.
E' vero che il film trasmette un'immagine degli omosessuali
tutt'altro che rassicurante, il che è grave soprattutto se si
considera che all'epoca dell'argomento si parlava molto meno di adesso, sia
al cinema che altrove. Ma l'intenzione di Friedkin, secondo me, non
era tanto quella di mettere in cattiva luce la categoria, quanto di
dipingere un universo oscuro, infernale e vampiresco in cui il
protagonista si trova lentamente a sprofondare: e questo universo –
nel film lo si dice e ribadisce abbastanza chiaramente – non è
quello dei gay, ma si identifica casomai in un loro sottogruppo molto
circoscritto. Del resto, questo sottogruppo sembra aver poco a che
vedere con l'omosessualità comunemente (stereo-tipicamente)
intesa: i protagonisti delle scene notturne non sono per niente
effeminati, e anche il travestitismo trova uno spazio ben limitato...
Tralasciando quindi i discorsi sulla sua presunta impostazione
ideologica, dobbiamo chiederci: è un bel film, questo Cruising?
E qui è difficile dare un giudizio netto. Un po' per via dei
leggendari tagli di 40 minuti imposti alla versione ufficiale, un po'
per via delle pressioni e delle polemiche che resero travagliata la
lavorazione, Cruising dà l'idea di un'opera incompiuta, per
forza di cosa molto allusiva e reticente. Si intuisce di continuo che
ci sarebbe stato di più, molto di più da dire. Quasi tutti
gli snodi della trama restano sospesi (quali sono effettivamente le
motivazioni del killer? Ha davvero compiuto lui tutti gli omicidi?
Cosa c'entrano gli arti dispersi nel fiume? Il protagonista diventa
effettivamente un omicida a sua volta? Ci sono degli episodi “oscuri”
nel suo passato?) e l'effetto finale di questa reticenza non è tanto
intrigante quanto fastidiosamente confusionario.Viceversa, ci sono
passaggi che sono tirati troppo per le lunghe, snodi della trama che
non sembrano avere granché utilità nell'economia del racconto,
lungaggini, ripetizioni...
Il risultato è un film sbilenco, che non trova il ritmo giusto ma
che fra mille difetti riesce ad azzeccare un'atmosfera malata e
inquietante di sicura suggestione. I locali fetish e BDSM perlustrati
dal protagonista sono tali covi di violenza e amoralità che quasi
non c'è soluzione di continuità con le scene degli omicidi. Il
punto è che violenza e amoralità, nel film, sembrano davvero
sovrastare tutto: oltre ovviamente al protagonista, la stessa polizia
viene raffigurata come un insieme di individui cinici e spietati nel
migliore dei casi (il capitano interpretato da Paul Sorvino),
violenti e perversi nel peggiore (i due agenti che non disdegnano di
arrestare i travestiti per molestarli). L'impressione finale è di
una brutalità generalizzata e non circoscritta, dove non esistono
buoni o cattivi ma tutti sono più o meno parte dello stesso
marciume. Un quadro non certo consolante, ma certamente tutt'altro
che coincidente con quel moralismo anti-gay che si vorrebbe imputare
al film.